"La Moda e metropoli"- 1895
Georg Simmel afferma che due sono le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo della moda, in assenza di una delle quali, la moda non può esistere: il bisogno di conformità e il bisogno di distinguersi ossia, la tendenza all’uguaglianza sociale e alla differenziazione individuale convergono nella moda in un fare unitario. La moda, secondo Simmel, esprime quindi la tensione tra uniformità e differenziazione, il desiderio contraddittorio di essere parte di un gruppo e simultaneamente stare fuori del gruppo, affermando la propria individualità.
Simmel parla esplicitamente di due "impulsi" che attengono, evidentemente, la natura umana e si riflettono a tutti i livelli della realtà sociale, a partire da quello elementare dell'interazione sociale. In nome di questi bisogni ogni individuo è sollecitato, sia pure in misura diversa, a aderire alle norme proprie della società cui appartiene e/o ad elaborarle sul piano personale per differenziarsi e dare spazio alla libertà personale.
"La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. Se da un lato questo risultato le è possibile con il cambiamento dei contenuti che caratterizza in modo individuale la moda di oggi nei confronti di quella di ieri e di quella di domani, la ragione fondamentale della sua efficacia è che le mode sono sempre mode di classe, che le mode della classe più elevata si distinguono da quella della classe inferiore e vengono abbandonate nel momento in cui quest'ultima comincia a farle proprie. Così la moda non è altro che una delle tante forme di vita con le quali la tendenza all'uguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si congiungono in un fare unitario."
Ogni forma essenziale di vita nella storia della nostra specie rappresenta nel proprio ambito un modo particolare di unire l'interesse, all'unità, all'uguaglianza con la tendenza al cambiamento, al particolare, al caso unico.
Nella personificazione sociale di questi contrasti un lato di essi è rappresentato dalla tendenza psicologica all'imitazione. L'imitazione si potrebbe definire come un'ereditarietà psicologica, come il trasferimento della vita di gruppo nella vita individuale. Il suo fascino sta nel rendere possibile un agire finalizzato e dotato di senso, senza che entri in scena nessun elemento personale e creativo. L’imitazione si potrebbe definire figlia del pensiero e dell'assenza di pensiero.
L'individuo si libera dal tormento della scelta e la fa apparire come un prodotto del gruppo, come un recipiente di contenuti sociali. L'impulso a imitare, come principio, caratterizza un grado di sviluppo nel quale è vivo il desiderio di un'attività personale finalizzata, ma non c'è la capacità di conquistare dei contenuti individuali per quest'attività o di ricavarli da essa. Il progresso aldilà di questo grado avviene quando il futuro determina il pensare, l'agire e il sentire al di fuori di ciò che è dato, passato o tramandato; l'uomo teleologico è il polo opposto dell'uomo che imita. Così, in tutti i fenomeni di cui è un fattore costitutivo, l'imitazione corrisponde a una delle tendenze fondamentali della nostra natura, a quella che si esprime fondendo il singolo nell'universale, che accentua l'elemento stabile nel cambiamento. Quando invece si cerca il cambiamento nell'elemento stabile, la differenziazione individuale, il distinguersi dalla generalità, l'imitazione è il principio negatore, contrario. E' proprio perché il permanere nel dato, di essere uguali agli altri e di fare lo stesso che fanno gli altri è il nemico implacabile del desiderio che vuole procedere a nuove e specifiche forme di vita.